Il diritto alla ricerca della felicità

Il diritto alla ricerca della felicità

Questo diritto, da molti considerato un po’ singolare, nasce dall’intuizione di un napoletano: Gaetano Filangieri, che ne disegnò i tratti, attraverso una corrispondenza epistolare con B. Franklin e T. Jefferson, tanto che i padri costituenti americani decisero di inserirlo nella Dichiarazione di Indipendenza, dove, tra i diritti inalienabili dell’individuo, come la vita e la libertà, venne introdotto quello al perseguimento della libertà.

Da allora, molti giuristi, politici ed economisti si sono incaricati di declinare un diritto così rivoluzionario ma anche così vicino alla vita reale di ciascun individuo.

Così, ad esempio Pepe Mujica, ex Presidente dell’Uruguay, oggi senatore, che proferiva frasi del tipo “Vivere meglio non significa avere tanto, ma essere più felici” oppure “Passiamo il tempo ad adorare il dio mercato che organizza la nostra economia, la politica, le abitudini, la vita e perfino finanzia con carte di credito un’apparenza di felicità”. Visioni che sfociano nell’ormai celebre libro dal titolo “La felicità al potere”[mfn]La felicità al potere, Collana Litorali, Edizione Castelvecchi, 2018[/mfn].

Nella stessa direzione va inquadrato anche l’impegno di alcuni economisti, troppo spesso abituati a misurare la salute delle comunità e delle nazioni in termini di PIL, che negli ultimi anni hanno compreso che un indicatore attendibile per misurare la vita dei cittadini e proprio la felicità.

E così abbiamo assistito alla presentazione di finanziarie della felicità, come quella presentata nel 2019, da Jacinda Arden, premier neozelandese, che introduceva l’investimento in aiuti psicologici ed indicatori come la solitudine.

Ma anche in Italia, le istituzioni hanno dimostrato di riflettere ad un eventuale integrazione tra PIL e BES , Bilancio Equo e Sostenibile[mfn]FOCUS: Come si misura la felicità, Senato della Repubblica Italiana, 2018[/mfn], forse alla luce del fatto che ormai i consumi e la produzione non sono più gli unici indicatori attendibili nella valutazione della vita dei cittadini.

In verità, in Italia, un grande cambiamento in tal senso si è avuto con la legge n.163 del 2016 di riforma del bilancio dello stato, che da il primo vero riconoscimento normativo agli indicatori del BES, come la disuguaglianza del reddito disponibile, il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, indice di povertà assoluta, le emissioni di CO2 ed altri gas clima alteranti, alla speranza di vita in buona salute, all’eccesso di peso, al tasso di criminalità predatoria. Certo è che quest’elenco non può considerarsi definitivo ed esaustivo, soggetto com’è ai cambiamenti sociali, che si affida di monitorare.

E la politica?

La politica deve incaricarsi di caldeggiare il benessere dei cittadini, perseguire l’interesse pubblico, inteso non come singola sommatoria degli interessi privati.

In questo senso, dovrebbe intessuto un nuovo rapporto con il mondo produttivo, con i portatori di interessi, orientato, come nei decenni passati, solo alla logica del profitto e della crescita.